Viaggio nel cervello degli innamorati

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L’incontro, il primo bacio, la gelosia, il distacco: scopri la chimica che fa nascere e morire un amore

Può farci battere il cuore, o spezzarlo in mille pezzi. Può rivoluzionarci la vita, o rovinarla per sempre. Per secoli abbiamo provato a imbrigliarlo con fiori, profumi e cioccolatini, mentre oggi speriamo di intrappolarlo con un click sul web. Dagli appunti di poeti e musicisti, lo abbiamo catapultato addirittura sulle carte dei decreti legislativi discussi nei Parlamenti di mezzo mondo. L’amore è così: può assumere mille forme, ma la sostanza rimane sempre la stessa. Tutto nasce e finisce con una scintilla nel cervello, come ci spiega l’esperta di OK Salute Donatella Marazziti, psichiatra presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana e l’Università degli Studi di Pisa.
L’incontro. Sei millisecondi: tanto basta a Cupido per far scoccare la scintilla nel nostro cervello. «Dal punto di vista neurobiologico, mi piace definire l’innamoramento come “una paura senza paura”, perché nasce dagli stessi circuiti cerebrali che ci preparano alla reazione di attacco o fuga in caso di pericolo imminente», spiega Donatella Marazziti. «L’incontro con una persona sconosciuta attiva le aree più primitive del cervello, quelle sottocorticali come l’amigdala, che si accendono immediatamente come se ci trovassimo di fronte ad una minaccia. Si tratta di una reazione istintiva, non mediata dalla coscienza, che genera una situazione di allarme nel nostro corpo: ce ne accorgiamo perché il cuore inizia a battere all’impazzata, la saliva si azzera, le mani ci sudano e il respiro si fa affannoso. E’ come se il nostro organismo si stesse preparando a reagire: poi, nel giro di pochissimi millisecondi, interviene subito la corteccia cerebrale, che riprende le redini della situazione e ci fa capire che non sta succedendo niente di pericoloso: ci stiamo solo innamorando».
Amori arcobaleno. Dopo la prima tempesta, nel cervello ritorna la quiete e la paura si trasforma nel piacere più grande. «Sono i due principi della vita che si incontrano: piacere e morte, gioia e dolore», ricorda la psichiatra. Difficile dire da cosa nasca questo legame. Forse dalla necessità ancestrale di trovare un partner per riprodursi e perpetuare la specie? «E’ sbagliato pensare che il fine primario sia la riproduzione: in realtà tutti noi cerchiamo l’amore perché induce benessere, piacere, gioia. Se l’unico scopo fosse stata la riproduzione, allora l’evoluzione non avrebbe mai permesso l’amore omosessuale, oppure lo avrebbe fatto estinguere, cosa che evidentemente non è successa».
Mi telefoni o no? L’innamoramento è come una valanga: se la scintilla è scoccata al primo incontro, è impossibile tornare indietro. «Nel cervello aumentano i livelli di dopamina, ossitocina e oppioidi, tutti neurotrasmettitori che vanno ad accendere e alimentare i circuiti del piacere», sottolinea l’esperta. «Così siamo sempre alla ricerca dell’altro, ci sentiamo bene solo in sua compagnia: il rischio è che questo circolo vizioso, in persone predisposte, possa dare vita ad una vera e propria dipendenza». Se poi aggiungiamo «anche l’aumento dell’adrenalina e della noradrenalina, capiamo lo stress e l’ansia che si prova aspettando anche una semplice telefonata».
“Per me sei solo un amico”. Se siete stati “friendzonati” con una frase di questo genere, non perdete le speranze. «Anche un’amicizia può trasformarsi in amore: una persona che conosciamo da molto tempo può scatenare lo stesso schema cerebrale che abbiamo visto prima, con la paura dello sconosciuto che si trasforma in piacere. Questo accade quando all’improvviso vediamo con occhi diversi l’amico che abbiamo vicino da tempo. In questo caso, poi, la confidenza e la sintonia già consolidate facilitano ancora di più la creazione del legame amoroso», rassicura la psichiatra. Qualche speranza c’è anche per i cosiddetti “trombamici”: «l’amore può nascere anche dal sesso, grazie alla produzione dell’ormone dell’attaccamento, l’ossitocina».
Il primo bacio. Impossibile dimenticarlo: questo primo contatto ravvicinato è un po’ come una palla di cristallo, che permette di prevedere come procederà la storia d’amore. «Il bacio serve a ridurre le distanze con il partner e predispone al contatto fisico che ci sarà poi con il rapporto sessuale», sottolinea Marazziti. «Nel cervello genera un’esplosione di dopamina, oppioidi e ossitocina che non attivano soltanto la sensazione di piacere, ma sono perfino in grado di rafforzare le difese immunitarie». L’ossitocina, in particolare, è il “mattone” con cui si costruisce un rapporto duraturo. «Nel nostro cervello genera una sensazione di benessere, ma anche attaccamento e complicità: per questo gioca un ruolo fondamentale nell’evoluzione del rapporto dopo la tempesta biochimica dell’innamoramento, che si esaurisce dopo circa tre anni».
Gelosia. Difficile non cadere vittima della malattia di Otello. L’attacco acuto è scatenato dall’accensione dell’amigdala, sempre quella parte ancestrale del nostro cervello legata alle reazione di attacco e fuga in caso di pericolo. «Se dopo l’amigdala si accendono anche aree della corteccia cerebrale, legate alla consapevolezza, allora si può innescare una gelosia di tipo ossessivo. Se invece si attivano altre zone sottocorticali come i nuclei della base, che conosciamo bene perché coinvolti anche nel Parkinson, allora il rischio è che la gelosia si trasformi in un vero e proprio delirio», spiega la psichiatra.
La separazione. L’amore evolve e dopo l’euforia dei primi 18 mesi è normale che la passionalità abbia un calo: non tutti, però, riescono a superare questo scoglio. Problemi interni alla coppia o interferenze dall’esterno possono far spegnere lentamente la fiamma, i livelli di dopamina nel cervello calano, e se non si sono costruite basi solide con l’ossitocina, la crisi del rapporto può diventare definitiva. «Chi subisce la separazione vive una reazione drammatica», afferma Donatella Marazziti. «Il distacco dalla persona amata risveglia i circuiti della paura che erano stati messi a tacere dagli ormoni del piacere, e si scatena una vera e propria reazione di astinenza. Si attraversa così una prima fase di protesta, in cui ci si oppone alla separazione e si adottano comportamenti per favorire il ritorno del partner e impedirgli di trovare un’altra persona. Poi si passa alla fase della rassegnazione e della frustrazione, che può essere superata con l’aiuto delle persone care. Dopo circa sei mesi, però, il cervello è pronto a ripartire e per questo dobbiamo uscire e incontrare nuova gente, per dargli più chance di innamorarsi di nuovo. In questo senso, i bassi livelli di serotonina lasciati dalla perdita del partner precedente ci predispongono meglio al nuovo innamoramento».
di Elisa Buson
Healthcare & Science Journalist – Ansa News Agency.

Le quindici cose che il tuo terapeuta vorrebbe veramente che tu sapessi

La terapia può essere misteriosa e può intimidire, specialmente se non la conosci. Per questo motivo BuzzFeed (sito di informazioni “virali” fatto per essere condiviso sui vari social network) ha chiesto a tre psicologi americani che hanno esperienza con la psicoterapia, cosa loro vorrebbero che la gente sapesse sulla terapia.
I tre psicologi intervistati sono:
Stephanie Smith, Ph.D., clinical psychologist in Colorado;
Ryan Howes, Ph.D., clinical psychologist and professor at Fuller Graduate School of Psychology;
Lynn Bufka, Ph.D., associate executive director of Practice Research and Policy at the American Psychological Association.

1. Dare consigli non è proprio il lavoro del terapeuta

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Il terapeuta non é qui per dirvi se è necessario divorziare o lasciare il lavoro. “Il vero compito della terapia è quello di farvi conoscere meglio voi stessi, di cercare di rivedere il modo di pensare e di conseguenza di modificare qualche atteggiamento che non funziona“, dice Smith. “Il processo della terapia non è quello di dare buoni consigli.”
Certo, i terapeuti potrebbero dire quali sono le strategie da usare per far fronte a una malattia come la depressione, ad un sintomo come l’ansia o ad disturbo bipolare, ma se si sta discutendo di vostre decisioni personali di vita, il terapeuta é un facilitatore. Dice Howes, “Sei sicuro di voler venire in terapia per imparare ad avere più potere nel gestire la tua vita o vuoi lasciare che siano gli altri a farlo?”

2. Anche loro probabilmente sono o sono stati in terapia

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Non avrò mai fiducia di un terapeuta che non abbia fatto una terapia” dice Howes. E secondo questi esperti, gran parte degli psicologi sono anche loro in terapia, e se non lo sono in quel preciso momento, lo sono stati. Gran parte delle scuole di specializzazione in psicoterapia richiedono ai suoi specializzandi di sottoporsi ad un percorso terapeutico, dice Smith.

3. La maggior parte dei terapeuti non prescrivono farmaci

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Questo è in genere il lavoro di uno psichiatra o del medico – non di uno psicologo, dice Bufka. Tuttavia, il terapeuta si può coordinare con uno psichiatra o un medico di base per aiutare un paziente ad iniziare o terminare la terapia farmacologica.

4. Non c’è bisogno di essere diagnosticati con una malattia mentale per andare in terapia

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C’é un giudizio erroneo comune: “Che bisogna essere ‘pazzo’ per andare in terapia“, dice Howes. “Ci sono un sacco di motivi per cui la gente va in terapia che non hanno nulla a che fare con i disordini mentali. Quando la gente ci va, perché sta male, non è nulla di cui vergognarsi. Si va a chiedere aiuto e parlare con un esperto, proprio come lo si farebbe per qualsiasi altra malattia”.

Di solito – quando si è in difficoltà ma non completamente debilitato – le persone esitano ad andare in terapia perché si sentono come se non ne hanno bisogno. “Ma se ti senti bloccato o sopraffatto o non sei in grado di funzionare come si desidera, questo è un segno che c’è bisogno di parlare con qualcuno”, dice Bufka.

5. Il tuo terapeuta non parlerà di te al bar con i suoi amici

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La regola numero uno è la privacy“, dice Howes. “Perderei il mio lavoro se parlassi dei miei pazienti ad amici e parenti”. Tuttavia, i terapeuti discutono di casi particolari o temi più ampi con un piccolo gruppo di colleghi fidati, tale attività viene chiamata supervisione. “Abbiamo gruppi che si incontrano ogni due settimane o mensili per discutere i casi difficili e ottenere un feedback da colleghi”, dice Smith. “Si parla di casi, ma è una versione ridotta, senza informazioni di identificazione.”

6. Probabilmente il tuo terapeuta non ti ha mai cercato in Internet

Quello che capisco è che si tratta di un superamento di confini e quasi una violazione della privacy controllare in Google un paziente senza il suo consenso“, dice Smith.

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I terapeuti preferiscono parlare di come i pazienti costruiscono la seduta, che di forzarlo a parlare e di farsi spiegare della foto che hanno visto su Facebook durante il fine settimana. “Io non controllo su internet i miei pazienti perché la mia formazione dice che tutto deve avvenire nella stanza d’analisi, dice Howes.

7. Il tuo terapeuta non ti riconoscerà in pubblico a meno che non sia tu per primo a fare un cenno

Mano davanti

Il paziente non si deve preoccupare di incontrare il suo terapeuta in un ristorante e non deve nemmeno avere paura di sentire ‘Buongiorno, felice di vederla !’, mentre si é con qualcuno”. Il tipico comportamento di un terapeuta è che non riconoscerà mai in pubblico un proprio paziente a meno che non sia lui stesso a riconoscerlo e salutarlo, ed anche allora, non dirà mai di essere il suo terapeuta a meno che non sia il paziente a farlo per prima.
Quindi sentitevi liberi di dire ciao e introdurli come terapeuta/ insegnante di yoga / vicino di casa, o ignorare completamente. E’ qualcosa di cui si può parlare con loro già dall’inizio della consultazione se si è preoccupati.

8. Andare in terapia non è solo ricevere aiuto ma partecipare

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La terapia non è come andare dal dottore del pronto soccorso per un’infezione e prendere poi gli antibiotici. La terapia necessita di collaborazione, non sedersi passivamente ed aspettare i risultati. ” E’ un po’ deludente per i pazienti quando pensano che è questa la terapia” dice Howes “Vogliono che il terapeuta gli faccia una serie di domande, come una caccia al tesoro”.

Ma se il paziente è sufficientemente intelligente e vuole parlare di qualcosa che sente dentro o ha un’idea su cui vuole lavorare, questo fa diventare l’intero processo terapeutico più collaborativo e più efficiente.

9. La terapia non deve essere un impegno a lungo termine

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“Qualche volta, io penso che la gente esiti di iniziare una terapia perché si sentono come ‘se ci vado una volta ci andrò per 10 anni, tre volte alla settimana’ e sentono questa decisione molto pesante” dice Smith. La lunghezza e la frequenza della terapia è individuale e varia da persona a persona. Può essere una sola volta, una sessione di qualche mese, o più lunga in funzione di cosa il paziente sta cercando od attraversando.

Chiedere al terapeuta il suo approccio nelle prime sedute è una cosa che si può fare, dice Bufka. Quindi, domande come come sarà il trattamento, oppure quanto lungo sarà o quando finirò, sono domande che il paziente ha il diritto di fare.

10. Il diritto di “essere a proprio agio”: il più importante fattore quando si è in cerca di un terapeuta

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“Può essere visto come il migliore, il più qualificato terapeuta del mondo, ma se non ti trovi bene con lui, il trattamento non sarà efficace”, dice Smith”. La ricerca ci dice che molte variabili in terapia come il tipo di trattamento, il grado di istruzione del terapeuta, la lunghezza del trattamento hanno una grande influenza su di essa, ma il più grande fattore per il successo della terapia è che il paziente stai bene con il terapeuta.
Cosa le sembra? Si sente ascoltato, capito, rispettato? L’esperienza della terapia non è sempre divertente e godibile,” dice Smith. “Ma nel contesto, un soggetto si deve sentire sicuro, accettato, sentito e, a volte, messo in discussione.”

11. Concludere una terapia non vuole dire che tu non ne avrai più bisogno in futuro

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“In qualità di terapeuta, quello che spero è che alla fine del trattamento i pazienti si sentano che hanno migliorato il loro funzionamento, sia nei loro rapporti interpersonali o al lavoro o a scuola”, dice Bufka. “Che abbiano la percezione di essere al volante della propria vita e non afflitti da sintomi che stavano vivendo”.
Naturalmente, la vita passa e le cose cambiano, e solo perché ci si sente meglio per anni non significa che non si avrà bisogno di nuovo aiuto in futuro del terapeuta. “Ciò non significa che non avrai mai più bisogno di un aiuto o di supporto ancora, proprio come quando si va dal medico per delle cure primarie”, dice Bufka.

12. Se sei preoccupato che qualcosa sia inappropriato come abbracciarsi o chiedere cose riguardanti la vita privata, parlane

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Non tutti i terapeuti sono aperti ad abbracciare i propri pazienti, ma se non vi sentite a vostro agio, non sentitevi in imbarazzo di dirlo. “Il paziente deve essere libero di dire e chiedere ogni cosa” dice Howes. “Chiedere é lecito, poi sta al terapeuta decidere se rispondere o meno. Il paziente deve cercare di non essere se stesso un filtro o un censore”.

13. Loro non hanno tutte le risposte

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“Qualche volta la gente pensa che il terapeuta abbia la speciale abilità di vedere all’interno delle persone, ma questo non è vero” dice Bufka. “Abbiamo ricevuto un training per capire come sono fatte le persone, come si comportano e come le emozioni lavorano, e possiamo usare queste capacità per capire i nostri pazienti. Non abbiamo capacità magiche con le quali leggiamo istantaneamente dentro di loro, stiamo parlando di un processo di lavoro”.

14. Essere un terapeuta può essere un lavoro difficile

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Destreggiarsi tra pazienti ogni giorno e aiutarli a ripercorrere storie o eventi traumatici, può essere una professione molto scoraggiante. “Ovviamente può essere non semplice ascoltare storie difficili ora dopo ora, giorno dopo giorno ed avere ancora abbastanza energia per la propria famiglia” dice Smith. “E’ sfidante, ma è certamente gestibile”.

“Noi siamo professionisti, e come tali abbiamo il segreto prefessionale dice Howes.

15. Ma le possibilità ci sono e trovarle rende il lavoro terapeutico con i pazienti incredibilmente soddisfacente

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“Quando la terapia funziona, e lo fa veramente, affronterai la vita in modo diverso. Sarai padrone di te stesso. E questo modo di affrontare e di essere ti accompagnerà per il resto della tua vita” dice Bufka.
“Io amo le persone” dice Smith “Amo imparare a conoscerle. Trovo le persone estrememente interessanti”.
“Ogniqualvolta sono in grado di vedere il processo di crescita in atto, mi rende estremamente felice” dice Howes “E spendo molto più tempo a crogiarmi questa felicità di quanto avessi mai pensato”.